L’appuntamento è stato di quelli ghiotti, ghiottissimi. È arrivato dalle nostre parti uno scrittore africano di fama mondiale. Uno di quelli per i quali varrebbe la pena usare – senza vergognarsene – la definizione di mito. Ebbene sì: Alain Mabanckou ha presentato anche in Italia, nelle scorse settimane, il suo più recente romanzo, Sdraiati in affari, pubblicato da 66thand2nd (234 pagine, 17 euro). Ovvero il decimo romanzo dello scrittore congolese proposto dalla sempre più agguerrita e coraggiosa casa editrice romana che poche settimane fa si è alleata con Nottetempo, per rinforzare ancora più un polo importante dell’editoria di qualità.
Alain Mabanckou è nato a Pointe-Noire nel 1966. Nella città costiera della repubblica del Congo ha trascorso la sua infanzia fino alla laurea in lettere e filosofia. Dire che Ponte-Noire abbia segnato e tuttora segni in maniera indelebile la sua scrittura, la sua poetica, è dire poco. Peraltro Mabanckou, dopo una seconda laurea a Parigi e dieci anni di lavoro in Francia, nel 1998 pubblica il suo primo romanzo Red, White and Blue, che vince il Gran Premio Letteratura dell'Africa nera. Da allora, non ha più smesso. Romanzi, poesie, l’insegnamento negli Stati Uniti: ora è docente di letteratura francese all’Università di Los Angeles e vive a Santa Monica. Ha vinto tutti i premi importanti che c’erano da vincere, è stato insignito con la Legion d’Onore in Francia. Nel 2005 pubblica Pezzi di vetro, considerato il suo capolavoro. Siamo al Credito a morte, bar unico al mondo, sempre aperto, giorno e notte, grazie alla tenacia di Lumaca testarda, fondatore e padrone del leggendario ritrovo. Qui transita un'umanità composita, allegra e tragica, accomunata da una spiccata propensione alla bottiglia e dalla voglia di raccontare le proprie miserie e nobiltà. Una ricchezza che andrà perduta se non si troverà qualcuno in grado di raccontarla. Ci penserà Pezzi di vetro, cliente storico del locale, ex insegnante elementare, amante del vino e delle belle lettere. Quaderno alla mano, raccoglie le confessioni di chi passa da quelle parti.
La letteratura entra nella vita, la vita si fa letteratura nelle pagine di Alain Mabanckou (nella foto). Eclettico e irriverente come pochi, già all’uscita di un altro suo fortunato romanzo – Le luci di Ponte-Noire – aveva confessato il suo bisogno di tornare alle origini, di vedere la città in cui è nato, respirarne l’odore, tornare alla memoria africana, interrogarsi sulle proprie radici. È così anche in questo nuovo romanzo, picaresco e scoppiettante, percorso da una luce che forse è proprio quella luce che, una volta incontrata in Africa, non si potrà mai scordare, né ritrovare altrove. Dove siamo, dunque, nelle pagine di “Sdraiati in affari”? A Pointe-Noire, ovviamente. Nella caotica capitale economica del Congo dove è cresciuto. Perché i personaggi di Alain Mabanckou, così come le pagine dei suoi romanzi, non hanno mai davvero lasciato l’Africa. In questo caso facciamo la conoscenza di Liwa Ekimakingaï che in discoteca incontra finalmente la ragazza dei suoi sogni. Qualche giorno dopo, però, dopo un rumore fragoroso, una sorta di terremoto, il nostro si risveglia all’improvviso accanto a una lapide. È la sua. È diventato un inquilino del Frère-Lachaise, il cimitero dei poveracci, quelli che non possono aspirare al cimitero dei ricchi. Non è chiaro come ci sia finito, comunque deve adattarsi, ripercorre le fasi della sua vita terrena fino a quella serata in discoteca che segna in maniera indelebile il suo destino.
Per dirla con la critica di Le Monde è come se Alain Mabanckou indirizzasse ai suoi (tanti) lettori un'occhiata complice, denunciando con ironia le malversazioni dei politici o evidenziando la cattiva gestione di un paese sempre più impoverito dalla classe privilegiata. Dunque, per chi sa leggere dietro una risata, l'umorismo diventa tagliente, si fa satira. Approda ad un romanzo visionario che sul filo del noir trasporta la lotta di classe nel regno dei morti, morti che appaiono incredibilmente vivi.
Lucidamente, in occasione dell’uscita in Italia de Le luci di Point-Noire, Mabanckou aveva annotato la condizione che si trova a vivere l’immigrato che ritorna nel proprio paese dopo più di vent’anni. “Chi vi conosce e vi vuole bene mostra la sua gioia nel rivedervi, ma allo stesso tempo non può mascherare il fatto che non appartenete più alla stessa comunità. E non si tratta solo della distanza costruita dal tempo, c’è anche altro. In Africa, ma credo ovunque nel mondo, quando un immigrato ritorna nel suo paese d’origine, tutti si aspettano che abbia fatto fortuna, che sia diventato ricco e che possieda molto denaro. Pensano che possa aiutarli a risolvere tutti i loro problemi e non smettono di chiedergli soldi. Perciò, già poche ore dopo che mi trovavo in Congo, ho percepito questa strana sensazione: mi sono sentito un turista. A casa mia”.
Sì, è stata ghiotta occasione quella di incontrare Alain Mabanckou. Capace di raccogliere, nello spassoso La felicità degli uomini, racconti sul calcio africano, sua grande passione. O di presentarci Tokumisa Nzambe po Mose yamoyindo abotami namboka ya Bakoko (letteralmente “Rendiamo grazie a Dio, il Mosé nero è nato sulla terra degli antenati”). Per gli amici Peperoncino, il titolo del romanzo, 2016, del quale è protagonista.
Un figlio delle ex colonie francesi!