Zerocalcare, l'autobiografia dolomitica
Carlo Martinelli
“Io so’ un silos stipato de debolezze. Ci posso sfama’ il Trentino per tutto l’inverno”. A pagina 135, la battuta che strappa un inevitabile sorriso, alle nostre dolomitiche latitudini. Per una volta le stesse nelle quali Zerocalcare ha deciso di ambientare il suo nuovo libro. Il più venduto, in migliaia di copie, al Salone del libro di Torino. Il tredicesimo di Zerocalcare, al secolo Michele Rech, nato ad Arezzo il 12 dicembre 1983: certo, la sua patria è il mondo intero, ma è il quartiere di Rebibbia, core de Roma, la sua capitale.
Però… però c’è una traccia dolomitica, importante, nella vita di Zerocalcare. Che è oggi il fumettista italiano più amato, conosciuto e di successo, che con le due serie Netflix da lui scritte, dirette e doppiate ha fatto il botto, che continua coerentemente quell’impegno sociale che l’ha ora portato, armato di matita, a prendere le parti di Ilaria Salis e del popolo palestinese, dopo aver raccontato di quello curdo (e delle vite strappate lungo i bordi nei quartieri non dei ricchi delle nostre città). E che oggi, superati i 40, sforna una storia a fumetti sorprendente, di intima bellezza, in un bianco e nero accompagnato dai toni di grigio di Alberto Madrigal, che firma anche la copertina. Ci siamo: il libro è Quando muori resta a me, lo pubblica ancora una volta Bao Publishing, la piccola casa editrice cui Zerocalcare resta fedele. Anche in questo coerente: i colossi dell’editoria nostrana sarebbero disposti a ponti d’oro pur di avere in scuderia un autore stampato e ristampato in decine e decine di migliaia di copie. Così ecco queste 304 pagine con solida copertina cartonata, a 24 euro. E in queste pagine, sorpresa!, c’è lo Zerocalcare più intimo di sempre. Dove la figura più importante è quella del padre: una figura, quella del signor Calcare, solo accennata nei suoi titoli precedenti, rispetto alla presenza molto più massiccia della madre. I genitori del fumettista, infatti, hanno divorziato quando lui era piccolo e il rapporto con il padre in particolare è sempre stato caratterizzato da una “specie di timidezza maschile”, come la chiama.
Beh, il padre viene dalle Dolomiti, come i molti dialoghi in dialetto mostrano con tutta evidenza. E la storia è il racconto di un viaggio che padre e figlio fanno, in auto, da Roma/Rebibbia a Merin, un piccolo paese di montagna in Friuli Venezia Giulia, dove Calcare affronterà anche il tema delle proprie radici. Le storie degli antenati, la prima guerra mondiale, che sulle quelle montagne ha lasciato segni non eludibili. Nel raccontare per immagini di trincee, bombe, baionette, di una vita povera (allora dalle montagne si scappava a cercare fortuna, oggi si affittano anche fienili e stalle ristrutturate alle orde di turisti con i soldi in tasca) Zerocalcare approda ad un segno rarefatto, sospeso, nebbioso. Completamente diverso dal suo solito, in pagine di doloroso impatto.
Certo, c’è sempre quel suo linguaggio borgataro, intinto nella postmodernità dei consumi e del nuovo ordine politico che s’avanza, ad accompagnare il lettore. Ma Quando muori resta a me (titolo che racconta un mondo dove le cose contano più degli uomini, la proprietà più degli affetti) è soprattutto una sorta di autobiografia, sincera. C’è una pagina che lo dimostra con evidenza: il personaggio principe delle sue tavole, Zero, tutto stempiatura, occhioni e maglietta col teschio – una sorta di icona, da una graphic novel all’altra – si guarda allo specchio.
E l’immagine che gli ritorna dallo specchio è proprio quella del “vero” Zerocalcare – Michele Rech, disegnato in modo oltremodo realistico. Zerocalcare si specchia e vede Michele Rech. Conviene partire da qui per decifrare questa sua nuova opera, biograficamente intima. L’ha detto lui stesso: “Nel rapporto con mio padre non è in discussione l'amore o l'affetto, e non verrà meno, certo rischia di lasciare un sacco di non detti, di cose che ci saremmo potuti dire. Non è solo lui, ma anche io. Sono capace di scriverle nei fumetti ma poi non di dirle certe cose. Le cose che ho scritto in queste pagine non sono riuscito né prima né dopo a dirgliele in faccia".
Il racconto per immagini (dove le parole hanno una importanza decisiva) conferma la cifra inconfondibile di Zerocalcare: un dialogo continuo tra dentro e fuori. Il fuori delle storie che accadono agli altri, il dentro del percorso più intimo e tormentato dell'autore.
Il villaggio dolomitico teatro della storia parla ai dolomitici in modo particolare. Il telefono cellulare non prende da nessuna parte: niente notifiche, niente distrazioni. I redneck veneti sono sempre pronti alla rissa dentro il bar del paese. E quale mistero nasconde Marla, amica di famiglia andata via da Roma per vivere in malga, con una benda all'occhio?
“La montagna non dimentica” è la scritta che Zerocalcare trova sulla casa di montagna, appena arriva in paese. Quando il dialogo tra padre e figlio si fa difficile, la sentenza è che “la pietra delle Dolomiti non chiede mai”. Quando nel paesino di montagna spuntano fantasmi, incubi e tracce del passato che non passa, Zero sbotta: “A me ‘sta roba me fa schifo! Ma portace Paolo Cognetti! Adottalo!”.
Ben scavato, vecchio (si fa per dire) armadillo.