1966. Luigi Tenco, ogni giorno di più una delle voci più nuove e poetiche del panorama musicale italiano, è il primo firmatario di una lettera aperta al settimanale Big, uno dei preferiti dai giovani del tempo. Con lui sottoscrivono Sergio Bardotti, Lucio Dalla, Gianfranco Reverberi e Piero Vivarelli. È un documento che farà rumore. Intendono contestare la cosiddetta linea verde della canzone propugnata da Mogol, ovvero quella di una canzone di protesta molto moderata, all’insegna delle speranze e dell’ottimismo. Loro, invece, negano che la forza protestataria del beat sia superata. Scrivono: “Per carità, non ci accusate di marxismo. Sarebbe un gioco troppo facile. Fra di noi c’è chi è marxista e chi non lo è. Ma tutti ci troviamo d’accordo sul minimo denominatore di buonsenso. E il buonsenso ci dice che i motivi della protesta dei giovani non si sono affatto esauriti. Anzi, basta guardarsi attorno, sia in Italia che nel mondo, per renderci conto che tutti quei presupposti che sono alla base della rivolta dei giovani sono oggi validi più che mai. Perché oggi, la libertà dei giovani in ogni parte del mondo corre serio pericolo da parte di quelle forze reazionarie che, ben lungi dall’essere debellate, hanno invece in mano nuove e temibili armi per cercare di far tenere i cervelli nell’ovatta e le bocche chiuse. La linea verde serve dunque a chi vuole intorbidare le acque o per cause bassamente pubblicitarie o comunque speculative. Chi ha orecchie per intendere, intenda. I giovani è bene che sappiano come, in chiara antitesi alla linea verde, ci troviamo ben saldamente ancorati alla linea del blues, di Dylan, di Kerouac e di tutti coloro che ancora credono, in termini musicali e no, nella insopprimibile necessità della pace e della libertà. Noi nella pace e nella libertà non vogliamo “sperare”, ma preferiamo lottare, per ora su una trincea fatta di splendide e significative note, per conservarle o conquistarle. Questo è bene che si sappia, come è bene che i giovani stiano in guardia contro i mistificatori della musica leggera.”
Luigi Tenco con Sergio Endrigo, due giganti della musica italiana
La lettera viene pubblicata dal settimanale il 2 novembre del 1966 con il titolo Speranza? Ma facciano il piacere! Ottantasei giorni dopo, il 27 gennaio del 1967, intorno alle ore 2:15, il corpo di Tenco viene ritrovato senza vita nella sua camera, la 219 della cosiddetta dependance dell’hotel Savoy di Sanremo. Poche ore prima aveva partecipato alla prima serata del festival in coppia con Dalida. Cantano Ciao amore, ciao, che prima è eliminata dalla giuria e poi non viene ripescata dalla commissione incaricata. Riascoltata oggi, alla vigilia dell’edizione numero 74 del Festival che per una settimana paralizza l’Italia, quella canzone conferma la grandezza non discutibile di Tenco. Parla di un emigrante e due passaggi, bastano.
“La solita strada, bianca come il sale, il grano da crescere, i campi da arare. Guardare ogni giorno se piove o c’è il sole, per saper se domani si vive o si muore e un bel giorno dire basta e andare via […]
E poi mille strade grigie come il fumo, in un mondo di luci sentirsi nessuno. Saltare cent’anni in un giorno solo, dai carri dei campi agli aerei nel cielo”.
Certo, il suo capolavoro resta Lontano, lontano, con cui arrivò ultimo ai concorsi e che invece è il suo più venduto di sempre. E Lontano, lontano di Luigi Tenco è il titolo del bel libro fresco di stampa, curato da Enrico de Angelis ed Enrico Deregibus, (il Saggiatore, 434 pagine, 26 euro). Pagine importanti che permettono di conoscere da vicino e nella sua evoluzione una figura creativa e piena di desideri, anticonformista e in anticipo sui tempi, umile e allo stesso tempo consapevole del potere delle parole e delle canzoni. Il ritratto di uno dei più grandi cantautori della storia d’Italia, raccoglie le parole scritte e pronunciate da Tenco nel corso della sua esistenza. Materiali in gran parte inediti – dai temi delle elementari alle lettere, dai diari agli abbozzi di racconti e sceneggiature (compreso un episodio con protagonista Paperino), dalle interviste fino alle ultime dichiarazioni a Sanremo nel 1967. La voce di un ragazzo – nella temperie di un periodo che cambia il mondo e cambia l’Italia - combattuto tra la ricerca del successo e l’intransigenza, che va in televisione, rilascia interviste su interviste, si cimenta come attore; si innamora e rinnamora, ogni volta perdutamente. Di ogni fase della sua breve vita (era nato il 21 marzo 1938), lascia una traccia, un testo, una dichiarazione. Riuniti in un libro, lettere, racconti e interviste ci consegnano così un ritratto che rompe l’immagine di scontrosità e malinconia con cui è stato a lungo dipinto. Eppoi, un applauso ai curatori quando scrivono che la sorta di biografia a piccole tappe, così pregevolmente assemblata, si ferma al giorno del funerale. Non è interessata a quello che è successo o non è successo in quella notte a Sanremo, e, in ogni caso, si sofferma sulla vita privata di Tenco solo quando ci sono elementi utili a comprendere la sua arte. “Ci vogliamo occupare – affermano - della sua vita e delle sue canzoni, e non della sua morte”.
E oggi, per fortuna, Luigi Tenco è più vivo che mai.
Bene che rompa l'immagine di un Tenco malinconico, cosa che non era per nulla.